Non sapere riconoscere ed esprimere le proprie emozioni: l’alessitimia.

Le emozioni sono elementi fondamentali della nostra vita, la caratterizzano e la arricchiscono, dandole colore e sapore.

Il termine emozione deriva dal latino emovère, muovere fuori, in quanto essa indica uno scuotimento, un’agitazione dell’animo e in definitiva un impulso ad agire. L’emozione implica una serie di modificazioni nel nostro corpo sia a livello fisiologico, di pensiero e comportamentali. In seguito ad un’emozione come la paura ad esempio, si può sperimentare un’accelerazione del battito cardiaco, una sensazione di spavento e un impulso a fuggire.

Emozioni primarie e secondarie

Le emozioni primarie sono emozioni innate, universalmente riconosciute e presenti dunque in ogni tipo di popolazione, esse sono ad esempio la gioia, la tristezza e la rabbia. Le emozioni secondarie sono invece emozioni apprese, legate al contesto e alla cultura, e legate quindi all’interazione sociale, come ad esempio la vergogna o il senso di colpa.

Lo psicologo americano Ekman nel 2008 condusse uno studio sulle emozioni in un piccolo villaggio della Papua Nuova Guinea. Gli indigeni del luogo, alla vista di Ekman che mangiava del cibo a loro sconosciuto, iniziarono ad esprimere il loro stupore e disgusto con delle espressioni facciali che vennero immortalate e in seguito ritenute uguali ad espressioni facciali di altri individui di altri popoli che provavano la stessa emozione. Ci sono quindi emozioni, ovvero le emozioni primarie innate, che vengono espresse allo stesso modo anche da una popolazione isolata e non sviluppata come gli indigeni di quel posto, confermando l’idea che alcune emozioni sono universali e scritte nel codice genetico di tutti gli esseri umani, senza differenze e distinzioni.

L’importanza delle emozioni

Come abbiamo accennato le emozioni influiscono sul pensiero e sul comportamento, e giocano quindi un ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità. Sapere riconoscere le emozioni proprie e altrui, saperle comunicare adeguatamente, saperle controllare allo scopo di raggiungere determinati obiettivi, sono tutte capacità fondamentali per il benessere di una persona e vanno a costituire quella che definiamo intelligenza emotiva. Il concetto di intelligenza emotiva è abbastanza recente ed essa è stata riconosciuta come fondamentale nella crescita, nel successo e nella riuscita personale, probabilmente più del noto e sopravvalutato quoziente intellettivo.

L’intelligenza emotiva riveste un ruolo importante anche nelle relazioni interpersonali, in quanto mette in grado chi la possiede di avere un migliore contatto con l’altro, più spontaneo, sano ed empatico e dunque in generale una vita sociale più soddisfacente e gratificante, e di conseguenza un buon supporto sociale, ovvero tutta una serie di relazioni interpersonali che fungono da sostegno agli stress e alle problematiche della vita.

Saper quindi gestire adeguatamente le proprie emozioni contribuisce al benessere della persona in maniera molto forte. Al contrario, non riuscire a gestire le proprie emozioni può avere ripercussioni anche importanti nella vita di un individuo.

Cosa è l’alessitimia

Un disturbo molto serio della sfera emotiva è l’alessitimia (che deriva dal greco “alexis thymos” e significa non avere parole per le emozioni). Essa implica una serie di difficoltà delle funzioni affettive, ad esempio non si riesce ad identificare, descrivere e comunicare i propri e altrui sentimenti. E’ dunque un disturbo dell’elaborazione delle emozioni, per cui non si riescono ad identificare e comunicare, che interferisce con i processi di auto-regolazione e può portare all’adozione di comportamenti compulsivi, come abbuffarsi di cibo, abusare di sostanze, promiscuità sessuale.

I soggetti alessitimici hanno dunque ridotte capacità di riorganizzare gli elementi che caratterizzano la loro esperienza corporea (l’attivazione fisiologica legata all’emozione) in una rappresentazione mentale intrapsichica, e di dare quindi un nome ed un’identificazione a quello che stanno provando.

A livello neurofisiologico, pare esserci negli alessitimici, un cattivo funzionamento dell’emisfero destro, deputato all’elaborazione del comportamento emotivo.

A livello intrapsichico pare esserci un deficit della funzione riflessiva del sé e dunque una mancanza di consapevolezza emotiva. Queste persone tendono spesso al conformismo sociale e stabiliscono relazioni di forte dipendenza o, al contrario, preferiscono l’isolamento. A livello di attaccamento sembra prevalere quello insicuro-evitante con un’immagine materna non interiorizzata. Pare infatti che quando un genitore non riesce sistematicamente a sintonizzarsi con alcune specifiche emozioni del bambino, questi imparerà ad evitare di esprimerle.

Sappiamo che quanto più una persona è consapevole delle proprie emozioni, tanto più riuscirà ad essere empatica. Nel caso dell’alessitimico invece questa empatia manca, e questo purtroppo non consente di costruire una vita relazionale ricca ed emotivamente soddisfacente, che è alla base del benessere e della qualità della vita della persona.

Cosa può fare quindi la persona che soffre di alessitimia?

Da un punto di vista terapeutico è necessario ristrutturare la sfera cognitivo-affettiva della personalità, tramite l’integrazione di un approccio farmacologico e psicoterapeutico, andando quindi ad intervenire sia sulla struttura neurobiologica sia sui fattori di tipo psico-sociale come ad esempio lo stile di attaccamento.